7 Novembre
1917-1957
Quarant’anni
(Il Programma Comunista, n. 21 - 1957)
Premessa (settembre 2017) - Sommario
Premessa ai Quarant’anni
Il testo Quarant’anni di organica valutazione degli eventi in Russia nel drammatico svolgimento sociale e storico internazionale, è stato pubblicato nell’allora giornale di partito, “il programma comunista”, n. 21 del 1957. Dalla vittoria dell’Ottobre rosso erano passati quarant’anni e i partiti stalinisti commemoravano la vittoria del proletariato rivoluzionario in Russia come l’inizio della falsissima costruzione del socialismo in un solo paese, vantando una inesistente continuità del partito bolscevico in Russia, al potere nei primi anni della vittoria rivoluzionaria sotto la guida di Lenin, e gli anni successivi, in particolare dal 1926 in poi, sotto la guida di Stalin. L’intento del partito non era di “commemorare a nostro modo” la rivoluzione d’Ottobre, ma di ribadire i cardini della nostra valutazione degli eventi di Russia dal punto di vista strettamente marxista e rivoluzionario, cogliendo l’occasione in cui l’attenzione dei proletari veniva catturata dagli inni alla Russia falsamente socialista che, dopo aver portato per trent’anni al settimo cielo Baffone-Stalin, tentava di ripulirsi di tutto l’odioso retaggio che ricordava l’epoca di Stalin, iniziando una “destalinizzazione” che fu, se mai fosse stato possibile, con la sua sempre più brigantesca politica imperialista e militarista, peggio della “stalinizzazione” precedente.
Questo testo fa parte, come del resto ogni altro testo di partito, del lavoro collettivo di partito che si dedicò, dalla sua ricostituzione nel secondo dopoguerra, all’opera di restaurazione della dottrina marxista completamente calpestata e stravolta dallo stalinismo, e all’opera di bilancio della controrivoluzione che affossò non solo la rivoluzione proletaria in Russia, in Europa e nel mondo, ma anche il partito bolscevico di Lenin e l’Internazionale Comunista.
Le nostre posizioni sulla “costruzione del socialismo in un solo paese”, e per di più in Russia, paese capitalisticamente molto arretrato, sono note e, comunque, sono rintracciabili in moltissimi studi, testi e tesi di partito pubblicati in tutti i decenni che ci separano dal 1946, ossia da quando si pubblicò il primo testo organico relativo ad un primo bilancio della controrivoluzione, il Tracciato di impostazione (1) e che fece da base per tutto il lavoro successivo di restaurazione teorica.
Uno dei punti-chiave da cui partire, ribadito con forza, è stato questo: la rivoluzione di Ottobre va considerata «non in rapporto a mutamenti immediati o rapidissimi delle forme di produzione e della struttura economica, ma come fase della lotta politica internazionale del proletariato». E su questo punto il partito svolse una sistematica e vigorosa battaglia politica contro tutte le interpretazioni che volevano, da un lato, confinare la rivoluzione d’Ottobre nella sola Russia, considerando le sue caratteristiche come una particolare eccezione dovuta alla storia specifica della Russia zarista e non come caratteristiche generali e universali della rivoluzione proletaria a livello mondiale – leggasi, soprattutto, la conquista violenta del potere politico, l’instaurazione della dittatura proletaria esercitata monopolisticamente dal solo partito comunista rivoluzionario, il terrore rosso –; da un altro lato, sempre basandasi sulle particolarità russe, considerare la rivoluzione in Russia come l’avvio della trasformazione non solo politica e sociale del paese, ma anche della trasformazione economica in socialismo, pur in assenza della vittoria rivoluzionaria in paesi capitalisticamente avanzati, come ad esempio in Germania; e, per conseguenza, interpretare l’avvio del capitalismo in Russia – come nelle dichiarazioni di Lenin fino alla sua morte – come l’avvento del socialismo nella sola Russia che, in questo modo, doveva rappresentare il “modello” per tutti gli altri paesi. Un “modello” che non escludeva, anzi, al contrario, prevedeva che, in ogni altro paese, il corso rivoluzionario per giungere al socialismo dovesse tener conto delle particolarità nazionali che – guarda caso – erano la leva principale di ogni tendenza opportunista. E così la libertà la democrazia, il pacifismo, la coesistenza pacifica, l’emulazione divennero il sale di ogni piatto offerto dai falsi partiti comunisti in Europa e nel mondo.
La battaglia teorica e politica condotta dal nostro partito, fin dai suoi primi passi dopo la sua ricostituzione nel secondo dopoguerra, è stata inevitabilmente condizionata dalle conseguenze disastrose che il corso controrivoluzionario in Russia e nel mondo produsse sul movimento comunista internazionale e sul movimento operaio di ogni paese. Non si trattava soltanto di restaurare la dottrina marxista – come dovette fare Lenin di fronte al riformismo bernsteiniano e al revisionismo del rinnegato Kautsky –, ma lo si dovette fare in un periodo storico in cui il movimento operaio europeo, e americano, era stato completamente asservito alla conservazione borghese attraverso la lotta antifascista per la democrazia, e in cui la sconfitta dei tentativi rivoluzionari in Europa e la degenerazione del partito bolscevico e, con lui, di tutti i partiti dell’Internazionale Comunista, avevano quasi del tutto azzerato le potenzialità di rinascita di un movimento comunista marxista degno di questo nome.
L’opera di restaurazione della dottrina marxista e della ricostituzione dell’organo politico della classe proletaria mondiale, il partito comunista rivoluzionario, condotta dal partito comunista internazionale è rintracciabile in tutti gli scritti contenuti nei giornali, nelle riviste e nei volumi che abbiamo pubblicato in più di settant’anni, e dall’attività svolta in tutti questi decenni. Non nascondiamo, e non abbiamo mai nascosto, che nella sua attività il partito è andato incontro ad errori, a deviazioni e a scissioni: il partito è un organismo vivo che agisce contro la società capitalistica, necessariamente dal suo interno, pur rappresentandone la fine e il suo superamento; è un organismo che vive nelle contraddizioni di questa società e ne subisce la pressione e le conseguenze, ma conoscendone non solo gli effetti, ma soprattutto le cause e, perciò, a differenza di qualsiasi altro organismo politico esistente, il partito di classe, il partito marxista, può formalmente cadere, deviare, morire, ma dal punto di vista storico e teorico è sempre vivo, perché il marxismo affonda le sue radici nella storia delle società umane e del loro materialistico divenire. Ecco dunque, che anche una piccola e infinitesima collettività politica, o perfino un uomo, come in determinati periodi è successo per Marx, Engels, Lenin, Bordiga, hanno la possibilità reale, ad un certo punto del corso storico, di rianimare un’attività teorica e politica rivoluzionaria. Ebbene, è quel che è avvenuto alla corrente della Sinistra comunista d’Italia, distrutta e dispersa, ma non seppellita per sempre, dagli attacchi dello stalinismo, del fascismo, dell’opportunismo di ogni specie, della democrazia, ossia da parte di tutte le tendenze politiche, sociali e ideologiche emanate dal capitalismo e dal potere borghese nella sua fase imperialista. La Sinistra comunista d’Italia ha rappresentato, e rappresenta, la potenziale rinascita del movimento rivoluzionario del proletariato perché ha rappresentato, e rappresenta, l’opera di restaurazione della dottrina marxista e della ricostituzione del partito politico della rivoluzione proletaria internazionale.
L’opera di ridefinizione dei punti cruciali della storia delle lotte di classe, delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni, è stata ed è in continuo divenire, ma la sua forza è tratta dall’intransigenza nel difendere l’invarianza del marxismo e nell’agire di conseguenza. Fa parte di questa attività anche questo testo intitolato, non a caso, Quarant’anni di un’organica valutazione degli eventi in Russia nel drammatico svolgimento sociale e storico internazionale. In questo, come in qualsiasi testo di partito, non vi sono nuove “scoperte”, nuove “tesi” per comprendere la storia della rivoluzione in Russia e della sua sconfitta: vi si applica il materialismo dialettico e storico, come richiede la teoria marxista, inserendo i fatti, le vicende storiche, le loro tendenze e le loro controtendenze, seguendo la linea storica delle lotte di classe, dello sviluppo delle forze produttive e quello delle forme della produzione e, di conseguenza, delle classi che rappresentano – rivoluzionariamente all’inizio, riformisticamente poi e reazionariamente infine – il corso storico dello sviluppo delle società divise in classi. La rivoluzione d’Ottobre va considerata come fase della lotta politica del proletariato internazionale, abbiamo affermato poco sopra; ma anche la sua sconfitta, e la vittoria della controrivoluzione, va considerata come una fase della lotta politica del proletariato internazionale nella quale il proletariato è stato battuto. Una fase, non un’era geologica.
I quarant’anni che separano il 1917 dal 1957, vengono suddivisi dal testo in quattro fasi, definite sinteticamente così: A) La Russia contro l’Europa nell’Ottocento; B) Le prospettive del tramonto dell’ultimo feudalismo; C) L’incancellabile epopea russsa della rivoluzione proletaria mondiale; D) Parabola sinistra della rivoluzione stroncata. La rivoluzione borghese in Russia, tanto attesa da Marx ed Engels, in un periodo in cui il capitalismo in Europa aveva già storicamente dimostrato di aver prodotto la classe rivoluzionaria per eccellenza – il proletariato – continuava a tardare in quel potente bastione della reazione feudalista che era l’Impero zarista e che costituiva una grande forza repressiva dei tentativi rivoluzionari del proletariato in Europa. La grande visione di Lenin consiste nel fatto di aver sognato per la Russia quel che Marx aveva sognato per la Germania in un periodo storico precedente: la rivoluzione in permanenza, una rivoluzione nella quale il proletariato non solo avrebbe costituito una forza antizarista determinante, ma anche la forza antiborghese, passando dagli obiettivi antifeudali agli obiettivi antiborghesi in un processo rivoluzionario senza soluzione di continuità. La grande visione di Lenin andò anche oltre, proprio perché la rivoluzione proletaria in Russia non poteva che essere una fase della rivoluzione proletaria internazionale: la rivoluzione e la dittatura proletarie vittoriose in Russia dovevano aprire – e aprirono – un processo rivoluzionario mondiale nel quale, da un lato, i poteri feudali e arcaici dell’Asia venivano fatti crollare, liberando in questo modo lo sviluppo delle loro forze produttive, e, dall’altro lato, il proletariato dei paesi capitalistici avanzati d’Europa avrebbero seguito l’esempio bolscevico, abbandonando le illusioni democratiche, riformiste e pacifiste, e dando alle loro lotte di classe la spinta rivoluzionaria per abbattere i poteri borghesi esistenti. In Russia, il temprato e teoricamente solido partito bolscevico, guidò il proletariato alla vittoria e alla dittatura di classe; vinse la controrivoluzione armata e ricostituì l’Internazionale proletaria e comunista. In Europa, la maggior parte delle correnti di sinistra che si scissero dai partiti socialdemocratici e socialisti che aderirono alla guerra imperialista parteggiando ciascuno per la classe dominante borghese “del proprio paese”, non riuscirono a liberarsi completamente delle influenze e delle abitudini riformistiche (salvo la corrente della Sinistra comunista d’Italia), cosa che impedì loro di costituire per il proletariato quel motore politico indispensabile alla preparazione rivoluzionaria e alla guida solida e certa della rivoluzione.
La rivoluzione proletaria in Russia, in assenza dell’apporto decisivo della rivoluzione in Europa, si trovò a dover difendersi da sola e, sul piano economico, a dover limitarsi al compito borghese: sviluppare capitalismo nella forma più controllabile possibile dal potere politico proletario, in attesa della ripresa della lotta di classe e rivoluzionaria in Europa. Non venne la ripresa della lotta rivoluzionaria in Europa, venne la controrivoluzione che riuscì, anche grazie all’arretratezza economica e sociale della Russia, ad isolarla e a soffocarla.
«Come è una dottrina della rivoluzione così, dalla sua prima scrittura, il marxismo è una teoria delle controrivoluzioni; come è una previsione della rivoluzione socialista unitaria e mondiale, così è dal primo momento una sicura e non pavida attesa di controrivoluzioni in serie, ripetute, diffuse, incrociate nello spazio e nel tempo». Così è scritto in un “filo del tempo” del 1951 (2), e in forza di questa caratteristica esclusiva del marxismo, e della coerente e intransigente difesa del marxismo portata avanti, fin dalla sua formazione, dalla corrente della Sinistra comunista d’Italia contro ogni cedimento opportunista, il partito ha assunto il compito della restaurazione della dottrina marxista e della valutazione dei principali eventi storici, come dimostra la serie numerosissima di rapporti, riunioni, testi e tesi prodotta nei decenni dal 1946 in poi (3).
Nel testo Quarant’anni di una organica valutazione degli eventi di Russia... – che esce dopo la pubblicazione dei “fili del tempo” dedicati alla questione russa, il Dialogato con Stalin, il Dialogato coi morti, Russia e rivoluzione nella teoria marxista, ed esce in contemporanea con l’inizio della lunga trattazione intitolata Struttura economica e sociale della Russia d’oggi – si riprendono i punti cardibali della rivoluzione e della controrivoluzione in Russia, riunendoli sinteticamente nel bilancio che il partito stava facendo sulla “questione russa”, e inserendoli in una valutazione dinamica dei fatti storici e nella prospettiva di una ripresa rivoluzionaria della lotta di classe proletaria che, all’epoca, in forza dei dati economici dello sviluppo delle crisi capitalistiche, si poteva ipotizzare intorno al 1975, anno in cui effettivamente scoppiò la crisi capitalistica a livello mondiale, ma non seguì la crisi rivoluzionaria che avrebbe potuto avere, come epicentro, i paesi dell’Europa centrale (Germania ovest ed est, Polonia, Cecoslovacchia) nei quali si sarebbe sviluppata una potente ripresa delle forze produttive e nei quali il movimento insurrezionale proletario avrebbe influenzato e attirato i proletariati di Francia e d’Italia, facendo finalmente apparire la rivoluzione proletaria e comunista nel cuore del vecchio capitalismo europeo, e da qui in Inghilterra, in America, in Giappone.
Fantasie da marxisti visionari? Marx, Engels, Lenin, tutti i marxisti hanno spesso atteso la rivoluzione prima che la storia effettivamente la ponesse all’ordine del giorno; basta ricordare il 1848, ma lo stesso 1917. Le grandi visioni rivoluzionarie sono feconde anche quando la storia ne rinvia l’attuazione, ribadiamo nel testo che pubblichiamo; ma sono feconde se dalle rivoluzioni e, soprattutto, dalle controrivoluzioni, il partito di classe trae un bilancio storico e politico corretto che faccia da base per la successiva preparazione rivoluzionaria e sappia collegarsi, nel tempo e nello spazio, al filo storico che unisce la lotta di classe dei primi gruppi proletari ai successivi tentativi rivoluzionari di assalto al cielo, che sono passati per la Comune di Parigi del 1871 fino alla rivoluzione d’Ottobre in Russia, all’epoca che si concluse con la vittoria della controrivoluzione staliniana e borghese. La storia non agisce secondo le fasi della vita media degli individui o secondo i calendari dei cicli economici o secondo l’andamento dei listini di borsa; agisce attraverso avanzate tremende e rinculi drammatici di fatti economici, sociali, politici, militari che si intersecano e si influenzano vicendevolmente, ma sempre, alla fin fine, sul terreno della lotta fra le classi. Ed è con lo sviluppo della lotta fra le classi, nella quale ad un certo punto emerge il proletariato non più come classe per il capitale, ma classe per sè, che si giocano i destini della società capitalistica e della rivoluzione proletaria. È esattamente di questo che la classe borghese ha paura, perché nella sua “coscienza di classe” si è depositato il terrore della sollevazione rivoluzionaria del proletariato nel mondo, e quindi della fine del suo potere e della sua società.
I cent’anni che oggi ci separano dall’Ottobre russo possono apparire a molti come la definitiva sepoltura dello svolto rivoluzionario; al capitalismo col suo portato di miseria, di fame, di guerre, di degenerazione sociale, sembra non vi siano alternative: capitale, lavoro salariato, merce, denaro, appaiono come i piloni di qualsiasi società immaginabile, e l’unica possibilità per combattere la miseria, la fame, la guerra, la degenerazione sociale che impestano ogni paese al mondo sembra essere quella di “smussare gli angoli”, di “ammorbidire i contrasti”, di “rinunciare ognuno a qualcosa”, di “riformare” questo o quell’aspetto della vita sociale, o semplicemente di “rimettersi nelle mani di Dio” e sperare che qualcosa cambi...
Noi marxisti i visionari? La propaganda borghese e opportunista, tra cui hanno primeggiato senza dubbio gli stalinisti, ha sostenuto per quasi settant’anni che in Russia era stato “edificato” il socialismo, che il mondo era diviso in due “campi”, quello capitalista occidentale e quello “socialista” orientale, e che il pericolo per la pace dei popoli derivava dal contrasto fra questi due campi, per cui la “soluzione” doveva essere una “coesistenza pacifica” di due sistemi diversi, ...naturalmente basata sull’equilibrio del terrore, ossia su armamenti atomici equiparabili. Ma non ci fu bisogno che a Mosca si confessasse apertamente che quel che costruivano non era socialismo ma capitalismo. Ci pensò il mercato internazionale e lo sviluppo dei contrasti interimperialistici a smontare completamente l’orrendo castello di menzogne costruito sul massacro della vecchia guardia bolscevica e sulla distruzione del movimento comunista internazionale. Con il crollo dell’URSS, tra il 1989 e il 1991, e del suo “impero euroasiatico”, i borghesi di tutto il mondo inneggiarono alla sconfitta definitiva del “comunismo” e alla vittoria dell’economia di mercato e della società capitalistica costruita su di essa. In realtà l’impero sovietico, che è sempre stato capitalista e solo capitalista, è crollato proprio a causa delle inesorabili contraddizioni dell’economia capitalistica e dei contrasti inevitabili sul mercato internazionale con poli capitalistici e imperialistici economicamente molti più potenti – leggi Stati Uniti d’America, Europa nella quale primeggiava la Germania, Giappone, ossia le prime economie del mondo – scontrandosi con i quali ha semplicemente perso la capacità di mantenere il controllo coloniale sui paesi dell’Europa dell’Est e i paesi dell’Asia centrale, controllo ereditato dalla spartizione delle aree di influenza in seguito alla vittoria della seconda guerra imperialistica mondiale. L’onda lunga provocata dalla crisi mondiale del 1975 e dalle crisi capitalistiche successive, ha eroso a tal punto il famoso “muro” che divideva l’impero sovietico dal resto del mondo da far implodere il potere di Mosca e consegnarlo molto più apertamente alle oscillazioni del mercato internazionale. Ulteriore dimostrazione che in Russia, e tanto meno nel cosiddetto “campo socialista”, Cina compresa, non c’è mai stata la trasformazione economica da capitalismo a socialismo, ma solo impianto e sviluppo del capitalismo con tutto il suo corredo di brutale sfruttamento del lavoro salariato, contraddizioni sociali, repressioni, guerre. La ripresa della lotta rivoluzionaria proletaria è solo rimandata.
(1) Il Tracciato di impostazione è stato pubblicato nel n. 1 di “Prometeo”, rivista mensile del partito comunista internazionalista, luglio 1946. Per ribadire che tutto ciò che il partito pubblica è il risultato di un lavoro collettivo ed impersonale, nel dichiarare che questo scritto non contiene la dimostrazione di quanto afferma, ma si limita a fissare i cardini principali cui si riferisce l’intero lavoro di partito, nelle prime righe di premessa allo scritto ci si preoccupa di evidenziare che si tratta di un “lavoro impersonale di una avanguardia dei gruppi sociali che enuclea e rende evidenti le posizioni teoriche verso cui i singoli sono portati, assai prima di averne coscienza, dalle reali comuni condizioni in cui vivono. Il metodo dunque è antiscolastico, anticulturale, antilluministico”. Questo scritto è contenuto, insieme ad un altro testo fondamentale di impostazione delle posizioni teoriche intitolato I fondamenti del comunismo rivoluzionario…, anche nel volumetto n. 1 dei “testi del partito comunista internazionale”, pubblicato dal partito nel 1974, pp. 7-23.
(2) Cfr. La controrivoluzione maestra, settantottesimo articolo della serie “Sul filo del tempo”, pubblicato nel n. 18 del giornale di partito di allora, “battaglia comunista”.
(3) Tra i tanti, in particolare la lunga serie dei “Fili del tempo” dedicati alla critica di tutte le tendenze opportunistiche che hanno infestato il movimento proletario, i testi Proprietà e capitale e Forza, violenza e dittatura nella lotta di classe, oltre il Dialogato con Stalin e il Dialogato coi Morti, Russia e rivoluzione nella teoria marxista, Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, Fattori di razza e nazione nella teoria marxista, Il programma rivoluzionario della società comunista elimina ogni forma di proprietà del suolo, degli impianti di produzione e dei prodotti del lavoro, ecc. Consultando il nostro sito www.pcint.org, alla sezione Testi e tesi, si trova un elenco completo delle pubblicazioni di partito.
Sommario :
A)
La Russia contro l'Europa nell'Ottocento
B)
Le
prospettive del tramonto dell'ultimo feudalismo
C)
L'incancellabile
epopea russa della rivoluzione proletaria mondiale
D)
Parabola
sinistra della rivoluzione stroncata
A) La Russia contro
l'Europa nell'Ottocento
1. Una prima battaglia a
proposito del ruolo della Russia nella politica europea, data dai
socialisti marxisti, ebbe per contenuto il disperdere la fallace opinioni che le
conclusioni del materialismo storico non si potessero applicare alla Russia.
Come le deduzioni sociali di portata universale, tratte dallo studio dei fatti
del primo capitalismo in Inghilterra, erano state portate
dall'internazionalismo marxista in Francia, Germania, America, così la nostra
scuola mai dubitò che quella chiave della storia avrebbe aperte le porte che
sembrarono chiudersi per sempre sul viso della società borghese e sulle
napoleoniche baionette in rotta, tutto ritardando di un secolo.
2. Come per tutti i
paesi europei il marxismo attese e propugnò la grande rivoluzione borghese che
seguisse le orme di quelle di Francia e di Inghilterra, e il cui incendio nel
1848 scosse tutta l'Europa centrale. Il rovesciamento del modo feudale di produzione
in Russia fu tanto più previsto, atteso e rivendicato in quanto la Russia degli
zar assunse per Marx la funzione di cittadella della reazione europea
antiliberale e anticapitalistica. Nella fase delle guerre di sistemazione
borghese nazionale dell'Europa che si chiuse al 1871 ogni guerra fu prospettata
di utile sviluppo nel senso che potesse condurre ad una sconfitta e ad un
disastro di Pietroburgo. Marx fu detto per questo agente pangermanista
antirusso! Per lui la resistenza in piedi dello zarismo era barriera non solo
all'ondata della rivoluzione borghese, ma a quella successiva della rivoluzione
operaia europea, e i moti di liberazione delle nazionalità oppresse dallo zar,
classicamente della Polonia, furono sostenuti in pieno dalla Prima Internazionale
operaia.
3. La dottrina storica
della scuola marxista chiude con il 1871 il periodo dell'appoggio socialista
alle guerre di sistemazione d'Europa in Stati moderni e alle lotte interne di
rivoluzione liberale e risorgimenti nazionali. Campeggia all'orizzonte
l'ostacolo russo che, restando in piedi, sbarrerà sempre il passo
all'insurrezione operaia contro «gli eserciti nazionali confederati», ed
invierà i cosacchi a difesa non solo di santi imperi, ma anche di democrazie
parlamentari capitaliste, a ciclo chiuso di sviluppo in occidente.
4. Il marxismo si occupa
ben presto delle cose sociali della Russia, studiandone la struttura
economica e il decorso dei contrasti di classe, il che non toglie che il ciclo
delle rivoluzioni sociali vada cercato tenendo in primo luogo conto dei
rapporti di forza internazionale, come nella costruzione gigante di Marx sulle
tappe della marcia della rivoluzione e delle sue condizioni, che si manifestano
nell'ordine detto sopra quanto a maturità della struttura sociale. Sorse subito
il problema se si poteva abbreviare il corso russo che attendeva ancora di fare
i passi europei del principio del secolo e del 1848. Marx dà una risposta nel
1882 nella prefazione alla traduzione russa fatta dalla Sassulich del Manifesto
e nel 1877 in una lettera a un periodico. È possibile in Russia il salto
del modo capitalistico? La prima risposta era in parte positiva: «Se
la rivoluzione russa dà il segnale ad una rivoluzione operaia in occidente,
in modo che l'una completi l'altra». Ma la seconda risposta dichiarava già
perduta questa occasione, e si riferiva alla riforma borghese della terra del
1861, con la abolizione della servitù della gleba, che fu piuttosto la finale
dissoluzione del comunismo primitivo del villaggio rurale, e che Bakunin
apologizzò, stigmatizzato fieramente da Marx ed Engels. «Se la Russia segue la
via che ha presa dopo il 1861 perderà la più bella occasione che la storia
abbia mai offerta ad un popolo di saltare oltre tutte le alternative fatali del
regime capitalistico. Dovrà come gli altri popoli sopportare le inesorabili
leggi di questo sistema». Questo è tutto, conclude duramente Marx. Era
tutto: mancata e tradita la rivoluzione proletaria in Europa la Russia di
oggi è caduta nella barbarie capitalista. Scritti di Engels circa il primitivo mir
comunista russo mostrano che la partita, nel 1875 e più nel 1894, appare vinta
per il modo capitalista di produzione, che ormai domina nelle città e in certa
parte delle campagne russe sotto il potere zarista.
5. Con l'industria
capitalista in Russia, che sorse non tanto da una accumulazione iniziale ma da
investimenti diretti dello Stato, sorge il proletariato urbano e sorge il
partito operaio marxista, e questo viene posto innanzi al problema della
duplice rivoluzione, lo stesso cui i primi marxisti erano davanti in Germania
prima del 1848. La linea teorica di un tal partito, rappresentata per un primo
periodo da Plechanov e poi da Lenin e dai bolscevichi, è del tutto coerente al
marxismo europeo e internazionale e soprattutto nella questione agraria,
rilevantissima in Russia. Quale sarà il contributo alla duplice rivoluzione
delle classi della campagna, dei servi della gleba e dei miserrimi contadini
legalmente emancipati, ma le cui condizioni sono peggiorate rispetto a quelle
del feudalismo puro? I servi della gleba e i piccoli contadini hanno dovunque
sostenuto le rivoluzioni borghesi, e sempre si levarono contro il privilegio
della nobiltà terriera. In Russia vi è questo di caratteristico: il modo
feudale non è centrifugo come in Europa e Germania, ma il potere statale
centrale e lo stesso esercito nazionale sono centralizzati da secoli; è una
condizione progressiva nel senso storico fino all'ottocento. Ciò è vero non
solo politicamente per la storia delle origini di esercito, monarchia e Stato,
importati dall'esterno, ma anche nella struttura sociale: Stato, Corona (ed
enti religiosi non meno accentrati) detengono più terra e più servi della gleba
che la nobiltà feudale; di qui la definizione di un feudalismo di Stato, che
ben sopportò l'urto delle democratiche armate francesi, e contro il quale Marx
invocò per lunghi anni perfino l'urto di armate europee turche e tedesche.
In sostanza la via dal
feudalismo di Stato al capitalismo di Stato è risultata meno lunga in Russia di
quella dal feudalismo molecolare agli Stati unitari capitalisti e dal primo
capitalismo autonomista a quella concentrato e imperialista cui ha assistito
l'Europa.
B) Le prospettive del
tramonto dell'ultimo feudalismo
6. Queste forme secolari
spiegano come una classe borghese potente al pari di quelle occidentali non si
sia mai formata in Russia, e l'innesto delle due rivoluzioni atteso dai
marxisti si presentava ancora più difficile che in Germania. Quando Engels
affronta la deficienza della tradizione rivoluzionaria tedesca esauritasi, ben
diversamente da quella inglese, nella riforma religiosa, egli fa ricorso ai
contadini e ne illustra la storica guerra del 1525, schiacciata terribilmente
per la viltà dei borghesi urbani, del clero riformato e anche dei piccoli
nobili.
Per la Russia la prima
contesa fra i marxisti e tutti gli altri partiti, in dottrina e nella lotta
reale, fu sul punto se la classe borghese, politicamente assente, come la stessa
piccola nobiltà ed un clero ribelle, poteva trovare un sostituto nella classe
contadina. La formula storica a noi avversa era quella che la rivoluzione russa
non sarebbe stata né borghese né operaia, ma contadina. Definimmo la
rivoluzione contadina solo una controfigura della rivoluzione borghese
cittadina. In tutto il lungo corso di polemiche e di guerre di classe per cento
anni il marxismo ha rifiutata la prospettiva mostruosa di un socialismo
contadino, che sarebbe uscito in Russia da una riscossa dei minimi
lavoratori sulla terra per averne godimento proprietario in forme utopistiche
egualitarie, giungendo a controllare lo Stato più delle classi urbane, la
impotente borghesia ed il nuovo proletariato, di cui non si supponeva la
tremenda energia attinta come sezione del proletariato europeo. La borghesia
nasce nazionale e non si trasmette energie traverso le frontiere. Il
proletariato nasce internazionale ed è, come classe, presente in tutte le
rivoluzioni "straniere". Il contadiname è perfino sottonazionale.
Su queste basi si
costruì da Lenin la dottrina marxista della rivoluzione russa, in cui come protagonisti
furono scartate le classi della borghesia indigena e del contadiname, e fu
eletta la classe operaia.
Lo svolgimento di questa
impostazione è documentata nella nostra trattazione: Russia e rivoluzione
nella teoria marxista, numeri dal 21 del 1954 all'8 del 1955.
7. Due sono le grandi
questioni, l'agraria e la politica. Per la prima i populisti-socialisti
rivoluzionari sono per la spartizione, i menscevichi sono per la municipalizzazione,
i bolscevichi per la nazionalizzazione. Tutti, Lenin dice, sono
postulati di una rivoluzione borghese democratica, e non socialista. Tuttavia
il terzo è il più spinto e crea le migliori condizioni per il comunismo
proletario. Ci limitiamo a citare di nuovo da Due Tattiche: «L'idea
della nazionalizzazione della terra è dunque una categoria della società
mercantile e capitalistica». Nella Russia di oggi solo la parte dei Sovcos, la
minore è a questa altezza, e il resto ancora più indietro.
Per la questione del potere,
i menscevichi sono per lasciarlo prendere alla borghesia, e poi stare
all'opposizione (nel 1917 collaboreranno al governo coi borghesi); i populisti
sono per il fantoccio del governo contadino, e con Kerensky faranno la
stessa fine; i bolscevichi sono per la presa del potere ed una dittatura
democratica del proletariato e dei contadini. L'aggettivo democratico e il
sostantivo contadini si spiegano con le parole di Lenin: «Questa vittoria non
farà affatto della nostra rivoluzione borghese una rivoluzione
socialista. Le trasformazioni diventate per la Russia una necessità non
soltanto non implicano il crollo del capitalismo, ma al contrario sbarazzeranno
effettivamente il terreno per uno sviluppo largo e rapido, europeo e non
asiatico, del capitalismo. Questa vittoria ci aiuterà a sollevare l'Europa, e
il proletariato socialista europeo, abbattuto dal giogo della borghesia, ci
aiuterà a sua volta a fare la rivoluzione socialista».
Che fare allora degli alleati contadini? Lenin lo disse anche
chiaramente. Marx aveva detto che i contadini sono «i naturali alleati della
borghesia». Lenin scrive: «Nella lotta vera e decisiva per il socialismo, i
contadini, come classe di proprietari terrieri, avranno la stessa funzione di
tradimento e di incostanza che la borghesia ha oggi in Russia nella lotta per
la democrazia».
Nella fine della
indicata trattazione (n. 8 del 1955) abbiamo mostrato come Lenin sosteneva la
sua formula: presa del potere dittatoriale nella rivoluzione borghese, contro
la borghesia stessa e con l'appoggio dei soli contadini, con un doppio
argomento: per giungere alla rivoluzione proletaria europea, sola condizione
per la vittoria del socialismo in Russia, e per evitare la restaurazione
zarista, che sarebbe stato il ripristino della guardia bianca di Europa.
C) L'incancellabile
epopea russa della rivoluzione proletaria mondiale
8. Nel 1914 venne la
guerra prevista da Marx della Germania contro le razze unite degli slavi e dei
latini, e dai rovesci dello zar nacque come egli aveva profetizzato la
rivoluzione russa.
La Russia era ora
alleata delle potenze democratiche Francia, Inghilterra ed Italia. Capitalisti
e democratici, insieme ai socialisti traditori che avevano abbracciata la causa
della guerra antitedesca, giudicarono lo zar divenuto, perché imbelle o perché
segreto alleato di domani dei tedeschi, un nemico da eliminare, e la prima
rivoluzione russa del febbraio 1917 fu osannata da tutti i demopatrioti e
socialpatrioti, che l'attribuirono non alla stanchezza delle masse e dei
soldati bensì ad abile opera delle ambasciate alleate. Benché i socialisti
russi di destra nella maggioranza non avessero aderito alla guerra, essi si
orientarono subito verso un governo provvisorio che, d'accordo che le potenze
estere, l'avrebbe continuata, e su tale base si delineò un compromesso
con i partito borghesi.
Il partito bolscevico,
prima con esitazione, e finalmente con ogni vigore dopo il ritorno di Lenin e
dei capi bolscevichi del 1917, e l'adesione integrale di Trotzky, si indirizzò
all'obiettivo di rovesciare tale governo, con i suoi sostenitori menscevichi e
populisti.
Nella nostra trattazione
successiva sulla Struttura economica e sociale della Russia d'oggi, e
specie nella Prima Parte, abbiamo esposto sui documenti la storica vicenda che
condusse, nell'Ottobre di cui oggi si celebra il quarantesimo anniversario,
alla seconda rivoluzione, e abbiamo confrontata la lotta per il potere nel 1917
alle questioni dottrinali che prima erano sorte nella vita del partito.
9. La conquista del
potere da parte del partito comunista si espresse come disfatta nella guerra
civile di tutti gli altri partiti, sia borghesi che sedicenti operai e
contadini, fautori della continuazione della guerra a fianco degli alleati.
Essa si completò con la vittoria contro questi partiti nel Soviet pan-russo,
che integrava la loro disfatta e quella dei loro alleati extra-soviet nella
lotta per le strade; nella dispersione dell'Assemblea costituente che il
governo provvisorio aveva convocata e finalmente nella rottura con l'ultimo
alleato, il partito dei socialisti rivoluzionari di sinistra, forte nelle
campagne e fautore della guerra santa contro i tedeschi.
Questo svolto gigante
non passò senza gravi lotte all'interno del partito, né si concluse
storicamente se non quando ebbe fine, dopo circa quattro terribili anni, la
lotta contro le armate controrivoluzionarie, che avevano tre origini: le forze
della nobiltà feudale e monarchica – quelle sorrette nel 1918 dalla Germania,
prima e dopo la pace di Brest – quelle mobilitate con grande impegno dalle
potenze democratiche, tra cui l'esercito polacco.
Frattanto nei paesi
europei non si succedevano che tentativi sfortunati di presa del potere da
parte della classe operaia, entusiasticamente solidale con la rivoluzione
bolscevica; ed in sostanza fu decisiva la sconfitta dei comunisti tedeschi nel
gennaio 1919, dopo la sconfitta militare della Germania e la caduta del potere
kaiserista. La linea storica di Lenin fino a questo punto realizzata in modo
formidabile, e soprattutto con la decisiva soluzione della accettazione della
pace nel marzo 1918, che la insana democrazia mondiale chiamò tradimento, subì
la prima rottura. Gli anni successivi confermarono che non vi sarebbero stati
aiuti di un proletariato europeo vincitore alla economia russa, caduta in un
pauroso dissesto. Il potere in Russia fu solidamente, nel seguito, difeso e
salvato; ma da allora non fu possibile sistemare secondo le previsioni di tutti
i marxisti la questione economica e sociale russa, ossia con la dittatura del
partito comunista internazionale sulle forze produttive, ridondanti anche dopo
la guerra in Europa.
10. Lenin aveva sempre
esclusa ed escluse fino a che visse, e con lui gli autentici marxisti
bolscevichi, che, mancando la ripercussione della rivoluzione russa in Europa,
potesse la struttura sociale russa trasformarsi con caratteri socialisti
restando capitalista l'economia europea. Tuttavia egli mantenne sempre la sua
tesi che in Russia il potere dovesse essere preso e tenuto, in forma
dittatoriale, dal partito proletario appoggiato dai contadini. Sorgono due
quesiti storici. Può definirsi socialista una rivoluzione che, come Lenin
prevedeva, crea un potere che, in attesa di nuove vittorie internazionali,
amministri forme sociali di economia privata, quando queste vittorie non sono
venute? Il secondo quesito riguarda la durata ammissibile per una tale
situazione, e se vi erano alternative che non fossero l'aperta
controrivoluzione politica, il ritorno al potere di una borghesia nazionale a
viso aperto.
Per noi l'Ottobre fu
socialista, e l'alternativa alla vittoria controrivoluzionaria armata, che non
vi fu, lasciava due altre strade aperte e non una sola: la degenerazione
interna dell'apparato di potere (Stato e partito) che si adattava ad
amministrare forme capitaliste dichiarando di abbandonare l'attesa della
rivoluzione mondiale (come è stato); o una lunga permanenza al potere del
partito marxista, direttamente impegnato a sostenere la lotta proletaria
rivoluzionaria in tutti i paesi esteri, e che con il coraggio che ebbe Lenin
dichiarasse che le forme sociali interne restavano largamente capitaliste (e
precapitaliste).
Va data la precedenza al
primo quesito, mentre il secondo si collega all'esame della struttura sociale
russa presente, falsamente vantata come socialistica.
11. La rivoluzione di
Ottobre va considerata dapprima non in rapporto a mutamenti immediati o
rapidissimi delle forme di produzione e della struttura economica, ma come fase
della lotta politica internazionale del proletariato. Essa presenta infatti una
serie di potenti caratteri che esorbitano totalmente dai limiti di una
rivoluzione nazionale e puramente antifeudale, e che non si limitano al fatto
che il partito proletario ne fu alla testa.
a) Lenin aveva stabilito
che la guerra europea e mondiale avrebbe avuto carattere imperialista «anche
per la Russia» e che quindi il partito proletario doveva, come nella guerra
russo-giapponese che provocò le lotte del 1905, tenere attitudine aperta di
disfattismo. Ciò non per la ragione che lo Stato non era democratico, ma per le
stesse ragioni che dettavano a tutti i partiti socialisti degli altri paesi lo stesso
dovere. Non vi era in Russia abbastanza economia capitalista e industriale da
dare base al socialismo, ma ve ne era abbastanza da dare alla guerra carattere
imperialista. I traditori del socialismo rivoluzionario, che avevano sposata la
causa dei briganti borghesi imperialisti sotto pretesto di difendere una
democrazia "di valore assoluto" contro pericoli di là tedeschi, di
qua russi, sconfessarono i bolscevichi per la liquidazione della guerra
e delle alleanze di guerra, e cercarono di pugnalare Ottobre. Ottobre vinse
contro di loro, la guerra, e l'imperialismo mondiale; e fu conquista solo
proletaria e comunista.
b) Nel trionfare
dell'attentato di costoro, Ottobre rivendicò le carte dimenticate della
rivoluzione e restaurò la rovina dottrinale del marxismo da loro tramata;
ricollegò la via per qualunque nazione della vittoria sulla borghesia
all'impiego della violenza e del terrore rivoluzionario, al laceramento delle
"garanzie" democratiche, alla applicazione senza limiti della categoria
essenziale del marxismo: la dittatura della classe operaia, esercitata dal
partito comunista. Chiamò per sempre bestia chi dietro la dittatura legge un
uomo, quasi quanto chi, tremebondo al pari delle meretrici democratiche di
quella tirannide, vi legge una classe amorfa e non organizzata, non costruita
in partito politico, come nei nostri testi di un secolo.
c) Quando fittiziamente
la classe operaia si presenti sullo scenario politico, o peggio parlamentare,
divisa tra diversi partiti, la lezione di Ottobre, indistrutta, mostrò che la
via non passa per un potere gestito in comune da tutti insieme, ma per la
liquidazione violenta successiva di quella collana di servitori del
capitalismo, fino al potere totale del partito unico.
La grandezza dei punti
che abbiamo indicato nella triplice serie sta nel fatto che forse proprio in
Russia la speciale condizione storica della sopravvivenza dispotica e
medioevale poteva spiegare una eccezione in rapporto ai paesi borghesi
sviluppati; mentre all'opposta la via russa martellò, tra lo
sbalordimento di terrore o di entusiasmo del mondo, la via unica e mondiale
tracciata dalla dottrina universale del marxismo, da cui mai Lenin si distaccò
in nessuna fase, nel pensiero e nell'azione; e con lui il mirabile partito dei
bolscevichi.
È ignobile che questi
nomi siano sfruttati da quelli che, vergognosi in modo schifosissimo di quelle
glorie che ostentano teatralmente di voler celebrare, si scusano che quelle vie
la Russia abbia "dovuto", per speciali circostanze e condizioni
locali, percorrere, e promettono o concedono, come se fosse tanto loro missione
o potere, di far pervenire i paesi dall'estero al socialismo per altre e
disperate vie nazionali, lastricate dal tradimento e dall'infamia con
tutti i materiali che il fango da fogna dell'opportunismo vale ad impostare:
libertà, democrazia, pacifismo, coesistenza ed emulazione.
Per Lenin il socialismo
in Russia aveva bisogno, come dell'ossigeno, della rivoluzione occidentale. Per
questi, che il 7 novembre sfilano davanti al suo stolto mausoleo, l'ossigeno è
che nel resto del mondo gavazzi il capitalismo, con cui coesistere e coire.
D) Parabola sinistra
della rivoluzione stroncata
12. I cardini dell'altro
quesito sulla struttura economica della Russia alla vittoria di Ottobre sono
stabiliti da testi fondamentali di Lenin, a cui nel modo più esteso ci siamo
riferiti, non con quelle citazioni staccate che si possono introdurre in
scritti generici e brevi, ma con una illustrazione che pone in rapporto tutte
le formule con le storiche condizioni dell'ambiente e i rapporti delle forze,
nella seriazione storica.
Una di quelle che
chiamiamo "rivoluzioni duplici" porta sul teatro delle operazioni tre
dei modi storici di produzione, come era per la Germania prima del 1848. Nella
classica veduta di Marx si trattava dell'impero medioevale e
aristocratico-militare, della borghesia capitalistica, e del proletariato,
ossia del servaggio, del salariato, e del socialismo. Lo sviluppo industriale
in Germania, in quantità se non in qualità, era allora limitato, ma se Marx
introdusse il terzo personaggio fu perché le condizioni tecnico-economiche ne
esistevano in pieno in Inghilterra, mentre quelle politiche sembravano
presenti in Francia. Nel campo europeo la prospettiva socialista era ben
presente; e l'idea di una rapida caduta del potere assolutista tedesco a
beneficio della borghesia, e poi dell'attacco a questa del giovane
proletariato, era legato alla possibilità di una vittoria operaia in Francia,
dove, caduta la monarchia borghese del '31, il proletariato di Parigi e della
Provincia desse battaglia, che generosamente diede ma perdette.
Le grandi visioni
rivoluzionarie sono feconde anche quando la storia ne rinvia l'attuazione. La
Francia avrebbe dato la politica, fondando a Parigi un potere
dittatoriale operaio come tentò nel '31 e nel '48 e realizzò nel '71,
gloriosamente sempre soccombendo armi alla mano. L'Inghilterra avrebbe dato l'economia.
La Germania avrebbe dato la dottrina, che piacque a Leone Trotzky
richiamare per la Russia nel nome classico di rivoluzione in permanenza.
Ma la rivoluzione permane, in Marx e in Trotzky, nel quadro internazionale, non
in un misero quadro nazionale. Gli stalinisti hanno condannato la rivoluzione
permanente nel loro terrorismo ideologico: ma sono essi che l'hanno
scimmiottata in una vuota parodia, e imbrattata di patriottismo.
Lo sguardo di Lenin, e
dietro lui di noi tutti, nel 1917 vedeva la Russia rivoluzionaria –
industrialmente indietro come la Germania del 1848 – offrire la fiamma della
vittoria politica, e riaccendere in modo supremo quella grande dottrina
cresciuta nell'Europa e nel Mondo. Alla sconfitta Germania sarebbero state
attinte le forze produttive, il potenziale dell'economia. Sarebbe
seguito il resto del tormentato centro-Europa. Una seconda ondata avrebbe
travolto le "vincitrici" Francia, Italia (che sperammo invano di
anticipare fin dal 1919), Inghilterra, America, Giappone.
Nel nucleo Russia-Europa
centrale lo sviluppo delle forze produttive nella direzione del modo socialista
non avrebbe avuto ostacoli, e bisogno soltanto della dittature dei partiti
comunisti.
13. Interessa a questo
scorcio grezzo delle nostre ricerche l'altra alternativa, quella della
Russia rimasta sola, con in mano la folgorante vittoria politica. Situazione di
enorme vantaggio rispetto al 1848, in cui tutte le nazioni combattenti rimasero
nelle mani del capitalismo, e la Germania più indietro ancora.
Riassumiamo duramente la
prospettiva interna di Lenin, quella in attesa della rivoluzione ad ovest.
Nell'industria, controllo della produzione e più tardi gestione dello
Stato, che significava sì distruzione della borghesia privata e quindi vittoria
politica, ma amministrazione economica nel modo mercantile e
capitalista, sviluppando le sole "basi" per il socialismo.
Nell'agricoltura distruzione di ogni forma di servitù feudale, e gestione
cooperativa delle grandi tenute, tollerando il meno possibile la piccola
produzione mercantile, forma nel 1917 dominante ed inevitabilmente incoraggiata
dalla distruzione – questa sì economica quanto politica – del modo
feudale. Gli stessi braccianti senza terra, i soli "contadini poveri"
veramente cari a Lenin, erano statisticamente diminuiti e trasformati in proprietari
per la espropriazione della terra dei contadini ricchi.
Nella grande discussione
del 1926 sorse la questione dei tempi, che abbiamo fondamentalmente chiarita,
Stalin diceva: se qui il pieno socialismo è impossibile, allora dobbiamo
lasciare il potere. Trotzky gridò di credere nella rivoluzione internazionale,
ma di doverla attendere al potere anche per 50 anni. Gli fu risposto che Lenin
aveva parlato di venti anni «di buoni rapporti con i contadini», dopo dei
quali, anche in una Russia economicamente non socialista, si sarebbe scatenata
la lotta di classe tra operai e contadini per stroncare la microproduzione
rurale e il microcapitale privato agrario, tabe della rivoluzione.
Ma nell'ipotesi della
rivoluzione operaia europea il micropossesso della terra – che oggi vive non
sradicabile nel "Colcos" – sarebbe stato trattato con drastica
rapidità, senza rinvii.
14. La scienza economica
marxista vale a documentare che lo stalinismo è rimasto più indietro ancora di
quanto prevedeva Lenin come lontano risultato. Non sono passati 20, ma 40 anni,
e i rapporti con i contadini colcosiani sono tanto "buoni", quanto
"cattivi" quelli con gli operai dell'industria, gestita dallo Stato
in regime salariale con condizioni mercantili finora peggiori di quelle dei
capitalismi non mascherati. Il contadino colcosiano è trattato bene come
cooperatore nell'azienda Colcos, forma capitalista privata e non
statale, e più che bene come piccolo gestore di terra e capitale scorte.
Sarebbe inutile
ricordare le caratteristiche borghesi dell'economia sovietica, che vanno dal
commercio, alla eredità, al risparmio. Come essa non è affatto avviata
all'abolizione dello scambio per equivalente monetario e alla remunerazione non
pecuniaria del lavoro, così i suoi rapporti tra operaio e contadino vanno in
senso opposto alla comunista abolizione della differenza tra lavoro agricolo e
industriale, lavoro mentale e manuale.
Non è venuta, per
quaranta anni dal 1917, e circa 30 da quando Trotzky ne valutò come tollerabili
al potere 50, andando la 1975 circa, la rivoluzione proletaria di occidente.
Gli assassini di Leone, e del bolscevismo, hanno largamente costruito
capitalismo industriale, ossia basi del socialismo, ma limitatamente
nelle campagne, e sono di altri venti anni in ritardo su quelli di Lenin nel
farla finita colla forma gallinesca del colcosianismo, degenerazione dello
stesso capitalismo libero classico, che oggi coloro, in un sotterraneo accordo
coi capitalisti di oltre frontiera, vorrebbero infettare nell'industria e nella
vita. Verranno anche prima del 1975 crisi di produzione, che travolgeranno ambo
i campi di emulazione, a far volare via pagliai, pollai, microautorimesse e
tutte le istallazioni pitocche del sozzo, moderno ideale domestico colcosiano
per una illusoria arcadia di capitalismo populista.
15. Un recente studio di
economisti borghesi americani sulla dinamica mondiale degli scambi calcola un
punto critico dell'attuale corsa alla conquista dei mercati, incardinata sul
bieco puritanismo della soccorritrice America dopo la fine del secondo
conflitto mondiale, al 1977. Venti anni ancora ci separerebbero dal lanciarsi
della nuova fiammata di rivoluzione permanente concepita nel quadro
internazionale, e ciò collima colle conclusioni del lontano dibattito del 1926,
come con quelle delle nostre ricerche degli ultimi anni (vedi il riassunto nei
nn. 15 e 16 del 1955, alla fine).
La condizione perché
possa evitarsi un nuovo rovescio proletario è quella che la restaurazione
teorica non debba farsi, come nello sforzo gigante di Lenin dal 1914, dopo che
già il terzo conflitto mondiale abbia schierato i lavoratori sotto le sue tutte
maledette bandiere, ma possa svolgersi ben prima, con l'organizzazione di un
partito mondiale che non esiti a proporre la propria dittatura. Una tale
esitazione liquidatrice è nella debolezza di quanti rimpiangono l'assaggio
imbecille di un pezzetto di quella personale, e possono accodarsi a quanti
spiegano la Russia con colpi di palazzo ad omoni e omacci, demagoghi o traineurs
de sabre che siano.
Nel corso dei venti anni
delibati, una grande crisi della produzione industriale mondiale e del ciclo
commerciale del calibro di quella americana 1932, ma che non risparmierà il
capitalismo russo, potrà essere di base al ritorno di decise ma visibili
minoranze proletarie su posizioni marxiste, che saranno ben lontane
dall'apologia di pseudo rivoluzioni antirusse di tipo ungherese dove, alla
stalinista maniera, combattano abbracciati contadini, studenti ed operai.
Può azzardarsi uno
schema della rivoluzione internazionale futura? La sua area centrale sarà
quella che risponde, con una potente ripresa di forze produttive, alla rovina
della seconda guerra mondiale, e soprattutto la Germania, compresa quella
dell'est, la Polonia, la Cecoslovacchia. La insurrezione proletaria, che
seguirà l'espropriazione ferocissima di tutti i possessori di capitale
popolarizzato, dovrebbe avere il suo epicentro tra Berlino ed il Reno e presto
attrarre il nord d'Italia e il nord-est della Francia.
Una simile prospettiva
non è accessibile ai minorati che non vogliono concedere un'ora di relativa
sopravvivenza a nessuno dei capitalismi, per loro tutti eguali e da giustiziare
in fila, anche se invece di missili atomici si impugnano siringhe a
retrocarica.
A dimostrazione che
Stalin e successori hanno rivoluzionariamente industrializzato la Russia,
mentre controrivoluzionariamente castravano il proletariato del mondo, la
Russia sarà per la nuova rivoluzione la riserva di forze produttive, e solo in
seguito di eserciti rivoluzionari.
Alla terza ondata
l'Europa continentale comunista politicamente e socialmente esisterà – o
l'ultimo marxista sarà scomparso.
Il capitalismo inglese
ha già bruciate le sue riserve di imborghesimento laburista dell'operaio che
Marx ed Engels gli rinfacciarono. In quel tempo anche quello dieci volte più
vampiro ed oppressore del mondo che si annida negli Stati Uniti le perderà
nello scontro supremo. Alla lurida emulazione di oggi si sostituirà il mors
tua vita mea sociale.
16. È per questo che noi
non abbiamo commemorato i quarant'anni che sono passati, ma i venti che
attendono di passare, e il loro scioglimento.
Partito comunista internazionale